Magiari chiamati alle urne per confermare o no il premier

Cinquantotto anni, da 12 anni alla guida dell’Ungheria, Viktor Orban è il capo di governo in carica da più tempo nell’Unione europea e nelle elezioni parlamentari di domenica 3 aprile prova ad aggiudicarsi un quarto mandato consecutivo.

Ritenuto l’alleato più stretto di Vladimir Putin in Ue, è accusato da tempo, sia in Ue, sia nella stessa Ungheria, di smantellamento delle istituzioni democratiche esercitando un controllo eccessivo su media – si ricordi lo ‘spegnimento’ della radio indipendente Klubradio – e magistratura, nonché di agevolare la corruzione. E le sue politiche sono valse all’Ungheria l’avvio di procedure da parte della Corte di giustizia europea e il congelamento dei 7,2 miliardi di euro del Recovery Fund nell’ambito della disputa sul rispetto dello Stato di diritto.

 

Fino a poche settimane fa Orban pensava di puntare tutto su quella che in Occidente è stata denominata ‘Legge anti-Lgbt’, che vieta l’uso nelle scuole di materiali che ‘promuovano’ omosessualità e cambio di genere e sulla quale ha promesso un referendum. Ma l’invasione russa dell’Ucraina ha rimescolato le carte: con la guerra che imperversa nel Paese vicino, il premier ungherese ha dovuto cambiare strategia di campagna elettorale, passando da temi divisivi come la comunità Lgbtq e l’immigrazione a una campagna incentrata su pace e sicurezza.

 

 

Da sempre vicino a Putin, il leader di Fidesz si è ritrovato a tentare un equilibrio fra gli alleati occidentali (l’Ungheria fa parte della Nato e dell’Ue) e i suoi stretti legami economici con la Russia: ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina ma ha dichiarato la neutralità del suo Paese nel conflitto, senza mai citare esplicitamente per nome Putin; ha votato la maggior parte delle sanzioni Ue contro la Russia e ha acconsentito al dispiegamento delle truppe Nato in Ungheria, ma si è rifiutato di fornire a Kiev armi e di consentire il loro transito attraverso il confine Ungheria-Ucraina, e ha promesso di bloccare sanzioni Ue su gas e petrolio russi dicendo che l’impatto sui cittadini ungheresi sarebbe troppo forte. Una scelta che sembra avere convinto la maggioranza, visto che nei sondaggi è in testa. Agli elettori si è presentato come la scelta che garantisce la pace: “Se vogliamo la pace dobbiamo votare per Fidesz, se vogliamo rischiare la pace possiamo votare per la sinistra”, ha detto a un comizio.

Orban ha da sempre intrattenuto rapporti con la destra sovranista europea, anche italiana. È di agosto il suo incontro a Roma con Giorgia Meloni, che pochi giorni fa su Facebook ha elogiato i governi di Ungheria e Polonia sull’accoglienza dei profughi: “La sinistra italiana ed europea ha sempre messo in cattiva luce i governi sovranisti della Polonia e dell’Ungheria. Oggi, a causa della grave crisi internazionale che stiamo vivendo, è emerso il loro fondamentale ruolo”, ha scritto. E ad aprile dell’anno scorso Matteo Salvini era volato a Budapest per incontrare Orban e il premier polacco Mateusz Morawiecki e lanciare un ‘rinascimento europeo’ per una visione alternativa dell’Ue.

Ma la posizione di Orban sul filo del rasoio nel contesto della guerra in Ucraina da un punto di vista internazionale lo ha reso una figura più isolata, spaccando il gruppo Visegrad (composto, oltre che da Budapest, da Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia). L’incontro dei ministri della Difesa dei quattro Paesi inizialmente previsto per 30 e 31 marzo è saltato perché – ha rivelato il portale Euractiv – sia la Polonia che la Repubblica Ceca si sono rifiutate di riunirsi con l’Ungheria, che finora ha dato un tiepido sostegno all’azione contro Mosca. “Mi dispiace molto che il petrolio russo a buon mercato ora sia più importante per i politici ungheresi del sangue ucraino”, ha attaccato la ministra della Difesa della Repubblica Ceca, Jana Cernochova, su Twitter.

L’opposizione interna per la prima volta ha dato filo da torcere a Orban nei sondaggi. “Le elezioni sono essenzialmente un referendum sull’appartenenza dell’Ungheria all’Occidente o all’Est”, dice l’analista Andras Biro-Nagy, direttore del think tank Policy Solutions con sede a Budapest. A sfidare Orban è Uniti per l’Ungheria, una coalizione di sei partiti d’opposizione che hanno scelto di mettere da parte le differenze ideologiche e fare fronte comune contro di lui.

Come candidato premier il gruppo ha scelto un giovane sindaco, Peter Marki-Zay, 49 anni, che si auto-definisce un conservatore cristiano.

In un comizio a Budapest, le elezioni le ha dipinte così: un voto sul futuro dell’Ungheria come democrazia in stile occidentale, “noi apparteniamo fortemente all’Occidente, alla Nato e all’Ue”, ha detto, denunciando invece quello che ha definito uno “Stato a partito unico” creato da Orban, che a suo dire ha voltato le spalle all’Occidente diventando “anti-Europa e pro-Putin”.

 

 

I sondaggi presentano una corsa combattuta, con un piccolo vantaggio per Fidesz. Secondo una rilevazione di Zavecz Research realizzata fra il 23 e il 25 marzo, il sostegno per il governo di Orban è al 44%, contro il 42% per l’opposizione, con un margine di errore del 3,5%.

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