"Quando finirà la guerra, torneremo più forti di prima", spiega Andriy Sanin

“Il destino della nostra squadra è strettamente e indissolubilmente legato al destino della nostra città. Quando finirà la guerra, torneremo più forti di prima”. E’ la promessa di Andriy Sanin, vicepresidente del Fc Mariupol, il club della città sul mar d’Azov da settimane sotto assedio. Ormai sembra passato un secolo, ma prima del 24 febbraio proprietà e dirigenti parlavano di grandi progetti. “Eravamo ottimisti sul futuro”, racconta Sanin a LaPresse. “Uno staff eccellente, un impianto sportivo tra i più moderni del paese, l’academy in grande crescita. Il sogno era la qualificazione all’Europa League”. Sanin viveva a Mariupol dal 2017, con la moglie Tetyana e il figlio di 10 anni, Artem. “Un’esistenza tranquilla e felice che, dopo l’attacco, cambia radicalmente”, dice. “Dopo i primi bombardamenti, la città è rimasta senza elettricità, acqua e gas. I negozi di alimentari sono stati subito chiusi, è diventato impossibile comprare cibo. Sono andato nei villaggi vicini a chiedere aiuto. Dormivamo con i vestiti pesanti. Per bere acqua, abbiamo sciolto della neve. Ci siamo rifugiati nello scantinato dei vicini, prima di stancarci di giocare a nascondino. Ci siamo messi a dormire nella stessa stanza: ‘Se una bomba ci colpisce, andremo in cielo insieme’, dicevamo”.

Quando le truppe russe circondano Mariupol, Sanin prende una decisione. “Dopo l’ennesima notte insonne, ho detto alla famiglia: ‘Dobbiamo evadere da questo inferno'”. E’ il 21 marzo. “Siamo saliti sull’auto di mia moglie, che prima della guerra aveva fatto il pieno, con due borsoni e il nostro gatto Karmen. Il viaggio da Mariupol a Zaporizhzha è durato più di 10 ore: in tempi normali, ne impieghi tre. La maggior parte del tempo – prosegue – l’abbiamo trascorsa in coda ai check point russi. I militari cercavano armi, tracce di polvere da sparo sulle nostre mani, tatuaggi con simboli nazionalisti”. Un aiuto, inaspettato, arriva dal gatto: “Ci ha salvato”, assicura Sanin. “Quando un militare l’ha visto, il controllo si è fatto meno rigoroso”. Ma il pericolo non è ancora alle spalle: “Dopo l’ultimo posto di blocco a Vasylievka, ho pensato: è fatta. Poi ho notato delle mine anticarro a poca distanza. Sul ciglio della strada, una Renault ancora fumante. A Kamenskoye il ponte era stato fatto saltare in aria. Grazie a Dio un ragazzino del posto ci è corso incontro, avvertendoci delle mine”. La famiglia Sanin è in salvo: “Le autorità ucraine ci hanno condotto a Zaporizhzha. Al centro per i rifugiati siamo stati accolti dai volontari. Dopo 25 interminabili giorni, l’incubo di Mariupol era finito”. Non l’angoscia per quello che si è lasciati alle spalle: “La città è completamente distrutta, non c’è più un edificio intero. La nostra casa è stata rasa al suolo. Io e la mia famiglia siamo diventati dei senzatetto grazie alla follia di Putin”. Moglie e figlio sono ora a Zagabria, “sotto la protezione temporanea dell’Ue come rifugiati ucraini. Spero che un ambiente tranquillo li aiuterà a dimenticare gli orrori della guerra”.

Orrori che, per fortuna, non ha vissuto la prima squadra: “I giocatori erano in Turchia per il ritiro invernale. Il 24 febbraio, all’aeroporto di Antalya hanno scoperto che il volo di rientro era stato cancellato per la chiusura dello spazio aereo ucraino. I dirigenti della federazione turca ci hanno aiutato, ospitando la squadra. Abbiamo lavorato per trovare sistemazioni temporanee ai giocatori”. Quanto ai ragazzi delle giovanili, “gli allenatori se ne sono presi cura come fossero i loro figli, nonostante le condizioni terribili. Adesso stiamo cercando di riunire i giovani a Zaporizhzha, per trasferirli all’estero”. Il club, inevitabilmente, ha subito le pesantissime conseguenze della guerra. “Non possiamo più adempiere ai nostri obblighi economici. Ma siamo riusciti a pagare gli stipendi di febbraio. E a marzo, quelli della maggior parte dei dipendenti”. Il mondo dello sport ha risposto escludendo gli atleti russi dalle competizioni: “Giusto che paghino anche loro? In Russia gli sport professionistici sono sempre stati una continuazione della propaganda”, dice. “La stragrande maggioranza degli atleti professionisti ha sostenuto l’invasione. Non ricordo chi di loro si è opposto”. In mezzo alla tragedia, Sanin non perde la speranza: “Resto convinto che il futuro di Mariupol sia indissolubilmente legato al futuro dell’Ucraina, non della Russia. Il nostro paese sopravviverà e saremo in grado di far rivivere la città. Sarà più bella di prima. E non riesco a immaginare, per la nuova Mariupol, una vita senza il calcio”.

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