Due terzi dei cittadini convinti che un conflitto nucleare sia possibile. Solo i grandi centri urbani restano a favore di un maggiore appoggio di Roma al Governo di Kiev

 Aumentano gli italiani contrari all’invio di armi in Ucraina e scendono quelli favorevoli. In 2 mesi sono passati dal 40% al 52% tra quelli contrari a una maggiore partecipazione di Roma al fianco del governo di Kiev, mentre i favorevoli sono calati dal 53-55% di inizio conflitto all’attuale 40%. È una “doppia Italia” fatta da “un’opinione pubblica radicalizzata”. La definisce così il sondaggista triestino Roberto Weber, presidente del Centro Studi ‘Divulga’ (e presidente dell’Istituto Ixè) con cui ha condotto una serie di indagini in 3 momenti diversi della guerra sulle percezioni e le opinioni degli abitanti della penisola rispetto al conflitto, con un campione di mille cittadini rappresentativi della popolazione sopra i 18 anni.

 A pesare sulle posizioni è l’appartenenza politica ma “l’elemento che più colpisce – dichiara Weber a LaPresse – è che il favore rispetto all’invio delle armi è strettamente legato all’ampiezza del centro di residenza: nelle grandi città, fortemente urbanizzate, il favore è prevalente. Via via che i centri diminuiscono per portata e per intensità, il favore scende fino a rovesciarsi del tutto. È come se ci fosse un’Italia urbana, dove il veicolo delle informazioni evidentemente segue una canalizzazione diversa, che si trova a contrapporsi a un’Italia ‘minore’ di medi, piccoli e piccolissimi centri, dove il voto contrario all’invio delle armi va oltre il 55-60%. È questo il dato sicuramente più stringente e forte che abbiamo rilevato”.

 Più uniti – e pessimisti – sembrano invece gli italiani rispondendo ad altri quesiti: “Almeno i due terzi ritengono possibile, non probabile ma possibile, il deflagrare di un conflitto nucleare così come sempre i due terzi dei cittadini ritengono possibile-probabile un allargamento del conflitto”, spiega il sondaggista triestino. Sul rischio di escalation nucleare le percentuali sono rimaste stabili nel corso del tempo. Solo “una leggera attenuazione” rispetto ai rischi “perché più il conflitto viene combattuto sul campo più si allontana questo spettro, ma la paura rimane alta”. La politica interna non registra invece ribaltoni a causa. La guerra in Ucraina “non sta favorendo un partito o un altro” ma “cambiando il potenziale di affluenza al voto che oggi registriamo al 48%. Se si votasse domani alle elezioni politiche, meno di un italiano su due andrebbe alle urne”.
Un fatto che implica come “si stia creando uno spazio politico enorme non rappresentato e non legittimato ed è l’incognita più grossa”. Un punto interrogativo “senza alcun dubbio – chiude Weber – è collegato prima alla pandemia e ora alle prese di posizione sulla guerra in Ucraina”.

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