La sentenza è arrivata dopo cinque ore di camera di consiglio

Dodici anni per l’omicidio preterintenzionale di Stefano Cucchi. È la decisione della Cassazione che ha rideterminato le pene per i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, responsabili del pestaggio che causò la morte del giovane. La sentenza arriva dopo cinque ore di camera di consiglio. I due militari erano stati condannati a 13 anni in appello.

“A questo punto possiamo dire che Stefano è stato ucciso di botte, e che giustizia è fatta nei confronti di coloro che ce l’hanno portato via”, sono le parole commosse della sorella, Ilaria, dopo la sentenza. A stretto gira arriva il commento del comando generale dell’Arma: “una sentenza che ci addolora, perché i comportamenti accertati contraddicono i valori e i principi ai quali chi veste la nostra uniforme deve, sempre e comunque, ispirare il proprio agire”.

 

I giudici dispongono un appello bis per Roberto Mandolini e Francesco Tedesco, gli altri due carabinieri imputati, accusati di falso.

Il primo era stato condannato a quattro anni in appello, per aver coperto quanto accaduto, mentre al secondo, che inizialmente imputato per il pestaggio aveva poi denunciato i suoi colleghi diventando un teste chiave dall’accusa, erano stati inflitti due anni e mezzo. I reati di falso andranno prescritti tra due mesi.

 

Il sostituto procuratore generale della Cassazione, Tomaso Epidendio, aveva chiesto la conferma delle condanne d’appello e un nuovo processo “limitatamente al trattamento sanzionatorio” per Tedesco.

 

“È un dato certo” che Cucchi “sia stato pestato”, ha detto nella requisitoria, e che le botte subite in quella “via crucis notturna” ne abbiano provocato la morte. “Gli hanno voluto infliggere una severa punizione corporale, di straordinaria gravità, per il comportamento strafottente che aveva avuto – ha proseguito il pg – Tutto, in questo processo, è drammaticamente grave e concettualmente semplice. Eliminiamo le spinte, i pugni, i calci e poi domandiamoci se ci sarebbe comunque stata la frattura della vertebra o la lesione dei nervi. La risposta è semplice: no”.

 

Giovedì è attesa un’altra sentenza fondamentale sul caso: quella sui presunti depistaggi messi in atto per coprire il pestaggio, che vede imputati altri otto carabinieri accusati, a vario titolo, di reati che vanno dal falso, all’omessa denuncia, la calunnia e il favoreggiamento.

 

A processo, nell’aula bunker di Rebibbia, il generale Alessandro Casarsa, che nel 2009 era alla guida del gruppo Roma, il colonnello Lorenzo Sabatino, ex capo del Reparto operativo della capitale, Massimiliano Labriola Colombo, ex comandante della stazione di Tor Sapienza, dove Cucchi venne portato dopo il pestaggio, Francesco Di Sano, che a Tor Sapienza era in servizio quando arrivò il geometra, Francesco Cavallo, all’epoca dei fatti capufficio del comando del Gruppo carabinieri Roma, il maggiore Luciano Soligo, ex comandante della compagnia Talenti Montesacro, Tiziano Testarmata, ex comandante della quarta sezione del nucleo investigativo, e il carabiniere Luca De Ciani.

 

Cucchi morì nell’ottobre del 2009, una settimana dopo l’arresto per droga e il pestaggio subito in una caserma dei carabinieri, alla periferia di Roma.

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