Stime nettamente a ribasso per il Pil italiano che nel 2022 registrebbe un incremento pari al +1,9%, segnando così 2,2 punti percentuali in meno rispetto allo scenario di +4,0% delineato lo scorso ottobre. A lanciare l’allarme è Confindustria, nel report primaverile curato dal Centro studi. Intanto il ministro dell’Economia, Daniele Franco, da Cernobbio, annuncia che la previsione sul Pil nel Def della prossima settimana sarà “una previsione cauta”. La drammatica instabilità in cui versano l’Italia e l’Europa attualmente è una considerazione che accomuna gli industriali e via XX settembre. Franco infatti sottolinea che “siamo in una situazione di grandissima incertezza” in cui è “meglio essere criticati per essere stati pessimisti, che troppo ottimisti”. E avverte, parlando di politica di bilancio, che, se già l’anno scorso “abbiamo chiuso con un deficit molto più basso delle previsioni precedenti”, il taglio sarà la strada maestra sia per quest’anno che quelli immediatamente successivi. Anche per Confindustria “è difficile prevedere la dinamica dell’economia italiana poiché le diverse variabili chiave sono in continua evoluzione”. In quest’ottica “la durata della guerra è una variabile cruciale”, tanto che le stime del Csc relative al Pil sono ancorate alla previsione – la meno severa tra quelle profilate da Confindustria – che da luglio si allentino le tensioni ternazionali, escludendo ogni ipotesi di razionamento dell’energia per il settore produttivo, a cui si aggiungono il contenimento efficace della pandemia e l’attuazione del Pnrr nei tempi previsti. Anche in questo caso però “i numeri spaventano” dice il presidente degli industriali, Carlo Bonomi. Nel rapporto in effetti è chiaramente scritto che, se anche si verificasse lo scenario meno critico, “nel 2023 la stima di crescita del Pil è pari al +1,6%, con un ritorno ai livelli pre-pandemia che slitta al primo trimestre dell’anno prossimo”.

 A frenare infatti, secondo le analisi del Centro studi, sarebbero tutte le componenti del Pil, nessuna esclusa: “i consumi delle famiglie italiane sono previsti in crescita di appena il +1,7% nel 2022 e di +2,1% nel 2023, proseguendo a ritmo più moderato sul sentiero di parziale recupero, ma ancora sotto i valori pre-Covid”. Rallentamenti anche per il settore dei servizi, ancora non del tutto ripresosi dal crollo dovuto alla pandemia, e per gli investimenti, nonostante il boom del 2021. In contrazione anche l’occupazione (in termini di Ula) ma solo nella prima parte di quest’anno, durante la breve recessione tecnica, poi “tornerà a crescere dall’estate 2022 e per tutto il 2023, che si chiuderà con 190 mila occupati in più rispetto al 2019, con un recupero pieno dopo la crisi pandemica”.

 A pagare il conto più salato sarà l’industria, pesantemente colpita dal caro-energia. Stando ai numeri del Csc, “l’incidenza dei costi dell’energia sul totale dei costi di produzione aumenterebbe del 77% per il totale dell’economia italiana, passando dal 4,6% nel periodo pre-pandemico (media 2018-19) all’8,2% nel 2022”. Tradotto in euro, significa “una crescita della bolletta energetica italiana di 5,7 miliardi su base mensile” e di “68 miliardi su base annua”. Il macigno più pesante cadrebbe sul settore della metallurgia, dove “l’incidenza potrebbe sfiorare il 23% alla fine del 2022”. Questo porterebbe ad una “crescita modesta dell’attività produttiva nel 2022, con un primo semestre molto difficile, una ripartenza nella seconda metà e poi un ritmo più sostenuto nel 2023”. A fronte di questi dati, è impossibile per Bonomi pensare di tornare in tempi brevi alla situazione del 2019: “bisogna abbandonare queste azzardate illusioni” ha detto infatti, invitando invece il governo ad elaborare e soprattutto adottare “misure strutturali e adeguate”, per la crescita del Paese, articolate in quattro direttrici: l’industria e la manifattura, mix energetico e Fit for 55, misure nazionali che attenuino il rallentamento in corso, la contrapposizione tra Occidente e il blocco russo-cinese, “economicamente debole ma militarmente instabile”.

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