Il crostaceo si sta diffondendo in maniera incontrollata.A preoccupare soprattutto il suo forte impatto ambientale perché è molto vorace, mangia qualunque cosa: piccoli pesci, molluschi, vegetali acquatici

 Una specie “aliena” e “pericolosa” sta minacciando il Tirreno. Si tratta del granchio blu, un esemplare che può raggiungere “anche i 20 centimetri”, come conferma a LaPresse il naturalista Corrado Battisti, funzionario che si occupa del Monumento naturale Palude di Torre Flavia a Nord di Ladispoli, Roma, dove è stata segnalata un’invasione di questi animali che, avendo chele possenti “possono fare anche male se maneggiate”, soprattutto dai bambini. “Il granchio blu gigante è una minaccia per l’ecosistema perché è un grande predatore, mangia di tutto, e non ha predatori naturali”, prosegue Battisti. “Originario delle coste atlantiche, dagli Stati Uniti al Sud America è probabile che sia arrivato nel Mediterraneo perché trasportato con l’acqua di zavorra delle navi. Oppure per scopi culinari, visto che è commestibile”. Una specie “che invade gli ecosistemi in cui vive, difficile da controllare e che depone migliaia di uova”.

Finora in Italia era stato avvistato “lungo la costa adriatica, dove hanno aperto alla pesca. Sull’altro versante, invece, è stato avvistato a Napoli, nel mar Ligure, a Civitavecchia. E ora anche a Ladispoli e Cerveteri”, prosegue Battisti confermando che si tratta di una specie “aliena” per il Tirreno, almeno finora. A preoccupare soprattutto “il suo forte impatto ambientale – aggiunge – perché è molto vorace, mangia qualunque cosa: piccoli pesci, molluschi, crostacei ma anche vegetali acquatici. Recentemente i granchi blu hanno attaccato uno stabilimento di cozze. Quindi possono causare danni anche economici”.

 A preoccupare è il fatto che “si sta diffondendo in maniera incontrollata”, come sottolinea Stefano Raimondi, coordinatore ufficio Aree protette e Biodiversità di Legambiente che spiega come la presenza del granchio blu nel Tirreno e nel Mediterraneo “è stata facilitata dall’uomo, che lo ha portato per motivi alimentari, e dai cambiamenti climatici che hanno favorito la colonizzazione”. Si tratta di un problema “che va risolto a monte, evitando di rilasciarlo in natura”, spiega Raimondi che punta il dito anche contro chi acquista questi esemplari in pescheria “per poi fare quella che credono una buona azione rilasciandoli in mare”. A danni fatti, “l’unica soluzione è l’eradicazione” ovvero “il prelievo per finalità alimentari”.

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