Dodici in tutto i candidati in corsa per l'Eliseo. Primo turno domenica 10 e ballottaggio domenica 24 aprile

 Elezioni Presidenziali in Francia. Al primo turno si vota domenica 10, il ballottaggio (quasi certo) è fissato per domenica 24. La principale sfidante del Presidente in carica Emmanuel Macron la destra, estrema, transalpina. Non solo un nome ma due, uno è quello di Marine Le Pen, la dama di ferro francese, in corsa per la terza volta all’Eliseo e questa volta più di altre motivata a fare sorprese, se è vero come è vero che nelle ultime settimane è stata capace di guadagnare ben 8 punti nei sondaggi che la vedono al primo turno superata da Manu solo di 2 punti e mezzo, 24 contro 26,5%. Macron che ha fatto poca campagna elettorale, pensando di ottenere consensi muovendo le sue mosse dall’Eliseo in un momento di grande emergenza internazionale, ha evidentemente fatto male i suoi calcoli, almeno fin’ora, registrando un calo di diversi punti nell’ultimo mese e mezzo. Incognita di questa tornata elettorale sarà soprattutto Eric Zemmour, intellettuale d’oltralpe che ha saputo interpretare un populismo identitario, sempre forte in Francia, che dall’ “imborghesimento” della LePen si è sentito tradito.

 Dodici in tutto i candidati in corsa per l’Eliseo, gli altri sono la repubblicana Valerie Pecresse, il populista di sinistra Jean Luc Melenchon, la sindaca socialista di Parigi Anne Hidalgo, il ‘verde’ Yannick Jadot, l’anticapitalista operaio’ Philippe Poutou, i comunisti Fabien Roussel e Nathalie Arthaud, il parlamentare Jean Lassalle e il gollista Nicolas Dupont Aignan.

Emmanuel Macron

France Election

Quando arrivò all’Eliseo nel 2017, a soli 39 anni, Emmanuel Macron diventò il presidente più giovane della storia di Francia. Oggi, a cinque anni di distanza, è candidato per il secondo mandato alle presidenziali di domenica dopo aver guidato il Paese attraverso la rivolta sociale dei gilet gialli, la pandemia di Covid-19, la gestione della Brexit e, infine, la crisi legata alla guerra in Ucraina. Adesso 44enne, domina ancora la politica francese, ma affronta una sfida consistente dall’estrema destra, che diversamente dal 2017 non ha più solo una candidata, Marine Le Pen, ma anche Eric Zemmour. 

In prima linea negli sforzi diplomatici per porre fine alla guerra, complice anche il fatto che la Francia ricopre da gennaio il semestre di presidenza di turno Ue, Macron ha aspettato fino all’ultimo per ufficializzare la candidatura: lo ha fatto il 3 marzo scorso, un giorno prima della scadenza ultima, con una ‘Lettera ai francesi’ pubblicata sui giornali locali. Già da un po’ le sue intenzioni non erano un mistero, tanto che veniva descritto come un non candidato in campagna elettorale e i critici lo accusavano di sfruttare il ‘pulpito presidenziale’, finanziato dai contribuenti, per condurre la campagna. A gennaio aveva dichiarato di avere “il desiderio” di candidarsi ma che voleva attendere un miglioramento della situazione del Covid-19; poi a febbraio, mentre era sul volo fra Mosca e Kiev dove si era recato per incontrare rispettivamente Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky per provare a scongiurare lo scoppio della guerra, aveva detto che prima di tutto intendeva concentrarsi sulla crisi Ucraina-Russia.

 Europeista convinto, liberale, nella prima corsa per l’Eliseo aveva voluto presentarsi come un ‘outsider’ centrista che parlava sia alla sinistra sia alla destra, pur avendo già alle spalle la posizione di ministro dell’Economia sotto la presidenza del socialista François Hollande. Il cuore delle sue promesse? Una ‘rinascita della Francia’. Convinse i francesi battendo al secondo turno Marine Le Pen con uno schiacciante 66,10% contro 33,90%. E lo scenario del secondo turno contro Le Pen potrebbe riprorporsi anche questa volta.

 Se c’è un aggettivo che ricorre in tutte le descrizioni di Macron è ‘ambizioso’. Nato il 21 dicembre del 1977 ad Amiens da una famiglia di medici (padre neurologo e madre pediatra), Macron riceve un’istruzione borghese: frequenta una scuola di gesuiti, dove a 17 anni incontra quella che diventerà la moglie, Brigitte Trogneux, allora insegnante di francese, 24 anni più grande di lui e che sposerà poi nel 2007; lascia però l’istituto per diplomarsi a Parigi, nel famoso liceo privato Henri VI. Passa poi all’università di Science Po sempre nella capitale e, dopo un master in filosofia politica all’università di Nanterre, entra nel 2002 all’Ena, la prestigiosa École nationale d’administration in cui si è formata gran parte della classe politica francese.

 L’ascesa nel mondo dell’economia e poi della politica è rapida. Nel 2008 diventa banchiere d’affari presso la banca d’investimenti Rothschild e fa fortuna, un aspetto della sua vita che gli è stato spesso contestato quando ha voluto presentarsi come un ‘anti-sistema’. Con un passato nel Partito socialista, sbarca poi in politica nel 2012, quando viene nominato segretario generale aggiunto della presidenza di Hollande. E nel 2014 diventa ministro dell’Economia di Hollande, attirandosi critiche soprattutto a sinistra per la ‘legge Macron’, per “la crescita dell’attività e l’uguaglianza delle opportunità economiche”. Prevedeva fra le altre cose l’ampliamento dell’apertura delle domeniche per i negozi e la modifica delle norme del licenziamento collettivo, tanto che per approvare il testo il governo fu costretto a invocare l’articolo 49.3 della Costituzione, per saltare il voto del Parlamento.

 Nel 2016 lascia l’incarico e fonda un suo movimento politico, ‘En Marche!’, in vista della corsa all’Eliseo. Corsa che stravince al secondo turno, dando alla vittoria un alto valore simbolico: il suo primo discorso lo pronuncia davanti alla piramide del Museo del Louvre, con luci curate in ogni dettaglio, quasi a illustrare anche con immagini la promessa ‘Rinascita della Francia’. Ha introdotto leggi più dure e controverse contro il terrorismo e ha reso più facile per le imprese i licenziamenti, ma sull’imposta che nel 2018 voleva introdurre sui carburanti ha dovuto fare marcia indietro visto lo scoppio della rivolta dei gilet gialli.

 Dopo una spinta in alto nei sondaggi sull’onda degli sforzi diplomatici per la guerra in Ucraina, in cui resta comunque in testa, Macron ha subìto un rallentamento per l’emergere del cosiddetto ‘affaire McKinsey’: da un report del Senato (dove l’opposizione conservatrice ha la maggioranza) è venuto fuori che il governo si è avvalso di consulenze per 1 miliardo di euro con società private come McKinsey per gestire la campagna vaccinale contro il coronavirus e altre questioni, cosa secondo i critici resa ancor più grave dal fatto che McKinsey non ha pagato le tasse in Francia almeno dal 2011. “Voglio ricordare a coloro che mostrano sdegno che loro hanno usato” le ditte di consulenza anche nei governi locali, ha tuonato Macron nel grande comizio del 2 aprile, rivendicando il suo impegno per la Global tax Ue. Nel secondo mandato a cui aspira, Macron vorrebbe portare a termine la riforma delle pensioni innalzando gradualmente l’età pensionabile da 62 a 65 anni, misura piuttosto impopolare, ma vorrebbe anche aumentare la pensione minima dagli attuali 700 a 1.100 euro, arrivare al pieno impiego entro 5 anni e tagliare le tasse per famiglie e imprese. E ha promesso misure entro l’estate anche per chi spende “lo stipendio in benzina, bollette e affitto”.

Marine Le Pen 

France Election

È la terza volta che Marine Le Pen corre per l’Eliseo. E se colei che da anni sogna di portare l’estrema destra alla guida della Francia passerà al secondo turno di domenica 24 aprile, come i sondaggi sembrano indicare, potrebbe essere non solo la seconda volta al ballottaggio delle presidenziali francesi, ma anche nello stesso scenario del 2017, cioè in un duello contro Emmanuel Macron. Allora Macron la battè con ampio margine (66,10% contro 33,90%). Adesso lei spera di avere una seconda possibilità.

Cinquantatre anni, figlia del controverso politico Jean-Marie Le Pen – che nel 2002 fu il primo candidato di estrema destra ad arrivare al ballottaggio delle presidenziali, contro Jacque Chirac -, Marine Le Pen respira politica fin da bambina. L’episodio che ne marca di più l’infanzia, secondo il racconto che lei stessa ha fatto nella sua autobiografia, è all’età di 8 anni, quando la sera del 1° novembre del 1976 si verifica un attentato con esplosivo davanti alla casa di famiglia di Parigi. Avvocatessa di formazione, muove i primi passi in politica a fianco del padre: nel 1998 viene eletta consigliera regionale per la prima volta, nel 2004 al Parlamento europeo (dove resterà per 13 anni) e a poco a poco guadagna influenza nel partito del padre, il Front National (FN), fino a prenderne la guida nel 2011.

Dal suo arrivo al timone l’obiettivo di Marine Le Pen è stato chiaro: ‘normalizzare’ l’estrema destra. Al punto da espellere Jean-Marie Le Pen, figura ingombrante in particolare per le posizioni antisemite. Il culmine dell’operazione, che i critici definiscono ‘cosmetica’, arriva nel 2018, dopo la sconfitta alle presidenziali contro Macron, con il cambio di nome del partito in Rassemblement national (RN). È come candidata di RN che nel 2020 Marine Le Pen lancia la corsa per le presidenziali 2022. A scombussolare i suoi piani, però, un tentato ‘sorpasso a destra’: un personaggio ancora più radicale, il giornalista e scrittore Eric Zemmour, che ha lanciato la sua candidatura a fine 2021. E potrebbe sottrarle voti al primo turno – diversi sostenitori di Le Pen, fra cui la nipote Marion Marechal, sono passati con Zemmour -, ma che secondo alcuni alla fine aiuterà a rendere più appetibile Le Pen, facendola quasi apparire moderata.

Le Pen – che coltiva legami con le destre europee, da Orban a Salvini, che si complimentò quando raggiunse il numero di firme necessarie a lanciare la candidatura – ha avuto da sempre un rapporto privilegiato con Mosca, ricevendo un prestito da una banca russa nel 2014 e incontrando Putin nel 2017. Alla luce della guerra in Ucraina, ha riconosciuto che l’invasione russa ha “parzialmente” cambiato la sua opinione su Putin, ha detto che lui ha “sbagliato” e che lei sostiene il popolo ucraino e i rifugiati vanno accolti.

Per sedurre chi non era riuscita a convincere nel 2017, ha ammorbidito retorica e immagine, assumendo un tono meno aggressivo. Non propone più di uscire dall’Unione europea o dall’euro e il suo discorso politico, soprattutto nel mezzo dei rincari legati alla guerra in Ucraina, punta di più sul portafogli dei cittadini. Ma le sue posizioni nazionaliste sono ancora salde: se eletta, vuole un referendum sulla lotta all’immigrazione e per sradicare l’islam politico, vuole porre fine alla possibilità di ricongiungimento familiare per gli immigrati e vuole espellere gli stranieri che non lavorino da almeno un anno e quelli entrati illegalmente; promette di vietare l’uso del velo islamico per le strade, definendola una “uniforme musulmana”. Inoltre vuole inasprire le leggi per ottenere la cittadinanza e armare la polizia municipale nelle città con più di 10mila abitanti.

Nelle apparizioni pubbliche, tuttavia, la sua attenzione è più concentrata sui problemi quotidiani della classe media e lavoratrice. “Ovviamente ritengo che immigrazione e insicurezza siano problemi gravi che hanno bisogno di risposte urgenti, ma non è solo questo”, “sbarcare il lunario mi preoccupa tanto quanto la fine della Francia”, ha detto Le Pen, che promette di attutire l’aumento dei prezzi con misure come il taglio delle tasse sulle bollette, di rimettere nelle tasche dei cittadini fra 150 e 200 euro al mese e vuole aumentare le pensioni mantenendo l’età minima pensionabile a 62 anni.

Al netto dell’astensione, che rimane la vera incognita di queste elezioni, stando ai sondaggi Le Pen sarebbe al secondo posto dopo Macron, con il quale ha assottigliato in modo significativo il gap al secondo turno rispetto al 2017. Zemmour è dato a seconda delle rilevazioni al terzo o al quarto posto. La differenza fra Le Pen e il concorrente più a destra sta nelle dichiarazioni di obiettivo politico: Zemmour dice di volere creare “un’unione della destra”, portando insieme conservatori, cattolici ed estrema destra. Le Pen, invece, dice che il suo obiettivo è “l’unione della Francia”.

Eric Zemmour

France Election

 È un ‘sorpasso a destra’ quello che Eric Zemmour, 63 anni, novello della politica, ha tentato quando a novembre del 2021 ha annunciato la sua candidatura alle presidenziali francesi di domenica 10 aprile. Polemista di estrema destra, scrittore, editorialista, habitué dei salotti tv, con la sua inattesa corsa per l’Eliseo con il neo-fondato partito ‘Riconquista’, Zemmour ha sparigliato le carte sottraendo a Marine Le Pen il monopolio delle rivendicazioni identitarie nazionaliste. E presentandole in modo ancora più radicale.

Nato a Montreuil da una famiglia ebrea sefardita e algerina, si è laureato all’università Sciences Po di Parigi e ha poi iniziato la carriera di giornalista e commentatore. È stato condannato tre volte per incitamento all’odio razziale o religioso, ultimamente ha ricevuto una multa di 10mila euro per avere definito “stupratori” e “assassini” i minori non accompagnati che arrivano in Francia come migranti. Zemmour ha detto di essersi candidato per “salvare la Francia”. Come temi principali ha scelto immigrazione, Islam e sicurezza. E al cuore della sua campagna elettorale ha messo una teoria cospirazionista nota come ‘grande sostituzione’, secondo cui immigrati e persone non bianche, in particolare i musulmani, starebbero soppiantando a poco a poco i nativi dei Paesi occidentali e un giorno elimineranno la civiltà cristiana. Anche se la Francia è un Paese con una maggioranza di bianchi cattolici e le statistiche sull’evoluzione dell’immigrazione lo contraddicono, Zemmour ha sostenuto che senza uno stop dell’immigrazione la Francia diventerà fra 10-20 anni “un Paese africano, un Paese musulmano”.

Ha proposto di istituire un ‘ministero dei rimpatri’, equipaggiato con aerei per accelerare le espulsioni dei migranti, a suo dire indesiderati, in particolare verso Algeria, Marocco e Tunisia. Un piano definito “anti-repubblicano” da Le Pen. Vuole ridurre le richieste di asilo possibili a 100 all’anno, mentre finora sono circa 54mila annue. Vorrebbe inoltre porre fine al welfare per i non europei e vietare i ricongiungimenti familiari degli immigrati, nonché creare una guardia costiera militare per fermare gli arrivi via mare. Chiede poi il divieto di indossare il velo in tutti i luoghi pubblici, nonché quello di costruire grandi moschee, come pure l’introduzione di restrizioni ai nomi che i genitori possono dare ai figli, vietando di fatto molti nomi usati dai musulmani francesi.

In un dibattito televisivo nel 2019 aveva sostenuto che il maresciallo Philippe Petain, capo del governo collaborazionista di Vichy durante la Seconda guerra mondiale, avesse salvato gli ebrei francesi dall’Olocausto. Inizialmente sostenitore di una “alleanza” con la Russia, lui che nel 2018 invocava un “Putin francese”, dopo ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina. In un primo momento ha detto che avrebbe preferito che i rifugiati ucraini stessero in Polonia, ma successivamente ha appoggiato la concessione di visti in caso di legami con la Francia. E vuole che Parigi si ritiri dal comando militare della Nato.

Se l’obiettivo che Marine Le Pen dichiara è una “unione della Francia”, quello dichiarato da Zemmour è una “unione della destra” che porti insieme conservatori (cattolici compresi) e partiti di estrema destra. È riuscito a portare dalla sua parte anche diversi sostenitori di Le Pen, fra cui la nipote Marion Marechal. Le sue chance di arrivare al secondo turno del 24 aprile sono poche, visto che i sondaggi lo danno perlopiù in quarta posizione, dopo Emmanuel Macron, Le Pen e Jean-Luc Melenchon. Ma il risultato del primo turno stabilirà quale sarà il suo peso elettorale al ballottaggio.

© Copyright Olycom - Riproduzione Riservata