Secondo il rapporto dell'FMI per alcune delle maggiori economie del continente le previsioni di crescita si fanno molto deboli quando non negative

 La guerra in Ucraina avrà pesanti conseguenze economiche per l’Europa, tanto che per alcune delle maggiori economie del continente, come l’Italia, la Francia, la Germanie e il Regno Unito le previsioni di crescita si fanno molto deboli quando non negative. In caso di contrazione per due trimestri consecutivi si tratterebbe di recessione tecnica. È il quadro delineato dal Fondo monetario internazionale, che ha pubblicato oggi il Regional economic outlook.

 “Prima della guerra, mentre le economie europee avanzate ed emergenti avevano recuperato gran parte delle perdite del Pil del 2020, il consumo privato e gli investimenti rimanevano ancora molto al di sotto delle tendenze pre-pandemia”, spiega il rapporto, aggiungendo che “la guerra ha portato a grandi aumenti dei prezzi delle materie prime e ha aggravato le interruzioni dell’offerta, che alimenteranno ulteriormente l’inflazione e taglieranno i redditi delle famiglie e i profitti delle imprese”.

 Tra gli effetti possibili, se la guerra dovesse avere una durata prolungata “aumenterebbe il numero di rifugiati in fuga verso l’Europa”, che inoltre “aggraverebbe le strozzature della catena di approvvigionamento, aggiungerebbe pressioni all’inflazione e aggraverebbe le perdite di produzione”, spiega il rapporto. E se da una parte i rincari energetici e alimentari avranno effetti diffusi, l’aumento dei prezzi del gas naturale in Europa inciderà in modo sproporzionato nei paesi con una maggiore dipendenza dalla Russia: Repubblica Ceca, Germania, Ungheria, Italia e Repubblica Slovacca. “L’improvviso arresto dei flussi di energia dalla Russia” è il rischio più preoccupante, “che porterebbe a significative perdite di produzione, in particolare per molte economie dell’Europa centrale e orientale”. Per la Bundesbank, bloccare immediatamente le forniture di gas russo potrebbe costare alla Germania 180 miliardi di euro nel 2022, intaccando il Pil del 5% e portando ad un brusco un balzo dei prezzi energetici e alla recessione più profonda degli ultimi decenni.
In conferenza stampa Alfred Kammer, direttore del dipartimento europeo del Fondo monetario internazionale, ha ribadito che “diverse grandi economie, come la Francia, la Germania, l’Italia e il Regno Unito, dovrebbero espandersi a malapena o addirittura contrarsi per due trimestri consecutivi quest’anno”, parlando della possibilità di una “recessione tecnica”. Kammer ha inoltre osservato come alcune economie si stiano attivando – compresa l’Italia – per una ricerca di fonti di approvvigionamento alternative alla Russia, ricorrendo anche a iniziative di riduzione dei consumi energetici.

 Il Fondo rileva che poiché si tratta di uno shock dell’offerta, in termini economici, la guerra va ad aggravare le sfide politiche che la pandemia aveva creato. “Un compito dei politici è quello di facilitare un aggiustamento graduale a questi shock innescati dalla guerra, compresi i prezzi più alti delle materie prime e le nuove fonti di energia”, osserva il rapporto Fmi, secondo cui “la politica fiscale è più adatta della politica monetaria per affrontare i nuovi shock”. Nel caso delle economie europee, poi, il quadro monetario si avvia verso la conclusione dei programmi di Quantitative easing pensati per fronteggiare gli effetti della pandemia, con il programma App che potrebbe essere ritirato tra luglio e settembre. Per il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, l’aggressione militare russa contro l’Ucraina “minaccia il sistema economico e finanziario internazionale basato su regole” e gli effetti negativi sono “enormi”, tanto che “ci vorrà tempo per valutare il costo umano, morale ed economico della guerra”. Tra i rischi, quello della transizione energetica perché “Gli alti prezzi del petrolio e del gas e i rischi per la loro futura disponibilità stanno portando alcuni paesi ad intensificare la loro domanda di carbone”, ma “Va ribadito che la direzione delle politiche ambientali non è cambiata e restano validi i piani a medio e lungo termine per ridurre le emissioni di carbonio”.

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