Informativa alla Camera sulle ulteriori iniziative per contrastare l'aumento dei costi energetici. Il Ministro: "Serve politica europea"

Volano i prezzi dell’energia, spinti dall’aumento del prezzo delle materie prime e dalle tensioni internazionali legate alla guerra in Ucraina: da gennaio 2021 quelli del gas naturale sono quintuplicati, quelli dell’energia elettrica hanno segnato un nuovo record storico. Lo scudo del price cap europeo, proposto dall’Italia alla Commissione Ue, sembra farsi sempre più concreto: “c’è un gruppo di lavoro a Bruxelles”. Ad affermarlo è il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, nel corso dell’informativa alla Camera sulle ulteriori iniziative per contrastare l’aumento dei costi energetici.

Il Governo e il Parlamento, negli ultimi tre trimestri, hanno messo in campo un mix di interventi per attutire l’impatto dei rincari per un valore superiore a 15 miliardi di euro, ma la misura al vaglio delle istituzioni europee resta centrale: “Un price cap di 80 euro/mwh rappresenterebbe una riduzione di circa il 25% sulla bolletta del gas e ancora una maggiore riduzione della bolletta elettrica”, ha spiegato infatti Cingolani. Il motivo è semplice, l’Europa “acquista tre quarti del gas che si vende in gasdotto, e quindi ha un peso significativo sul mercato”. Unito all’altra proposta avanzata dal governo, che riguarda “il disaccoppiamento dei prezzi di vendita dell’energia prodotta da tecnologie rinnovabili elettriche rispetto a quelli del parco termoelettrico, mediante opportuna revisione delle regole di market design”, potrebbe avere benefici importanti sia per i consumatori che sui prezzi del mercato. A patto però – ha chiarito il ministro – che sia una misura comune, una politica effettivamente europea. Al contrario, un tetto nazionale sarebbe assai “poco intelligente”, perché “per l’Italia o per qualunque altro grande paese europeo interconnesso sarebbe estremamente difficile da sostenere” e “il mercato semplicemente lo salterebbe a pie’ pari perché non sarebbe conveniente vendere lì il gas”.

Intanto, il Mite continua a ragionare sull’obiettivo dell’indipendenza dalla Russia. Per arrivare a meta, secondo Cingolani, ancora due anni: il gas e il Gnl reperiti con la campagna di diversificazione dei fornitori lanciata negli ultimi mesi sono sufficienti “a rimpiazzare i circa 29 mld di metri cubi di gas russo a partire dalla seconda metà del 2024”. Ovviamente, ci vorrà tempo affinché le nuove forniture vadano a regime, quindi nel breve termine – cioè per gli inverni 2022 e 2023 – la riduzione della domanda complessiva di gas “dovrà essere accompagnata da misure di contenimento della domanda la cui entità dipenderà anche dalla data della eventuale interruzione delle forniture russe”, precisa il ministro. In questo scenario un’interruzione immediata “renderebbe critico il superamento dell’inverno prossimo”, mentre un eventuale stop a fine 2022 “garantirebbe il riempimento degli stoccaggi in concomitanza con la crescita delle nuove e diverse forniture internazionali”. Fondamentale poi accelerare sulle rinnovabili per ridurre la domanda complessiva di gas e, soprattutto, vitale, avverte Cingolani, “che il primo rigassificatore galleggiante entri in funzione entro l’inizio 2023″.

Nessuna apertura invece al pagamento del gas in rubli, almeno finché non si chiarisce il quadro legale entro cui si muoverebbe un eventuale accordo. Su quest’ultimo punto, il ministro alla Transizione è chiaro. Ma è altrettanto netta la richiesta che muove all’Ue: “serve una posizione unitaria in Europa e serve una posizione chiara da dare agli operatori” ha detto infatti, affermando che per questo “abbiamo chiesto che si diano chiarimenti presto: a maggio si devono già effettuare dei pagamenti”.

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