Sei anni fa aveva girato proprio nel porto del Mare di Azov un documentario acclamato dalla critica al Festival di Berlino

 Ha perso la vita cercando di raccontare la verità, ucciso con la cinepresa in mano mentre stava documentando le atrocità di guerra delle truppe russe. Nella città assediata di Mariupol, la stessa dove sei anni fa aveva girato un documentario presentato in anteprima al Festival di Berlino acclamato dalla critica, ha trovato la morte Mantas Kvedaravicius, regista lituano di 45 anni. Un razzo ha colpito la sua auto mentre stava cercando di schivare le bombe, mettersi in salvo e lasciare la città assediata ormai ridotta ad un cumulo di macerie. Trasportato d’urgenza in ospedale il film maker è morto poco dopo il suo ricovero in ospedale. Laureato in antropologia sociale a Cambridge e molto noto in patria per il suo attivismo nel documentare la realtà nelle aree di guerra, Kvedaravicius diventa l’ultimo simbolo di questa citta dilaniata porto strategico nella regione separatista di Donetsk, dove i miliziani filo-russi combattono le forze ucraine dal 2014.

 Nel cortometraggio di sei anni fa, Kvedaravicius raccontò la vita degli ucraini con giornate apparentemente tranquille e sullo sfondo la minaccia perenne e costante del conflitto tra separatisti filorussi e nazionalisti ucraini. E non appena si concretizzò l’invasione russa volle tornare su quegli stessi luoghi ormai fantasma. “E’ stato assassinato a Mariupol, con una telecamera in mano, in questa guerra del male, contro il mondo intero”, ha scritto sul proprio account Facebook il regista russo Vitaly Mansky, fondatore del festival Artdocfest di Riga in cui Kvedaravicius era uno dei partecipanti. “Mantas era sempre più silenzioso e pensava…” ha concluso Mansky nel ricordare la scomparsa dell’artista. Il film-maker era stato premiato non solo a Berlino ottenendo riconoscimenti anche a Busan, Hong-Kong e al Nyon Visions du Réel. E si mise in luce per un ritratto sulla Cecenia dal titolo “Barzakh” girato nel 2011 e incentrato sui rapimenti europei.

 Quella di Kvedaravicius è un’altra vita sacrificata per mostrare al mondo la guerra. La stessa tragica sorte era toccata neanche tre settimane fa a Maks Levin, il fotoreporter ucraino trovato morto in un villaggio vicino a Kiev. Anche lui scomparso mentre documentava le atrocità di una guerra assurda. Kvedaravicius lo ha fatto fino all’ultimo istante della sua esistenza nel cuore di una città rasa al suolo, segnata dalla tragedia e dal lutto.

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