Al cinema il 2-3-4 maggio e dal 14 maggio su Sky distribuita da Fandango e Luce Cinecittà con il patrocinio del Coni, il racconta di un'impresa

 Nel lontano 1976 scrissero una pagina di storia del tennis italiano vincendo la Coppa Davis nel Cile di Pinochet, un exploit -accompagnato all’epoca da molte polemiche- più volte solo sfiorato e mai più realizzato. Oggi il docufilm ‘Una squadra’, al cinema il 2-3-4 maggio e dal 14 maggio su Sky distribuita da Fandango e Luce Cinecittà con il patrocinio del Coni, racconta quell’impresa che, a detta degli stessi protagonisti, è finita troppo presto nel dimenticatoio. Ma non c’è solo il racconto di un evento sportivo. A emergere è anche, se non soprattutto, il rapporto umano non privo di contrasti e tensioni, punzecchiature, battute e scherzi tra quelli che all’epoca erano i ‘Fab Four’ azzurri: Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Antonio Zugarelli. Il docufilm segna anche il debutto alla regia del produttore Domenico Procacci, grande appassionato di tennis. Gli ‘Amici Miei’ del tennis, li ha ribattezzati lo stesso Procacci alludendo al film cult di Monicelli. E loro stanno al gioco: “Il paragone è un grande complimento e del resto ci viene molto naturale. Ieri ad esempio eravamo a cena a casa di Domenico e Kasia (l’attrice Smutniak compagna di Procacci, ndr) ed era tutta una presa in giro l’uno con l’altro”, dice Panatta rivolgendosi subito al suo ex compagno di doppio Bertolucci: “Non ti voglio vedere più, stai sempre alla mia destra, anche quando giocavamo”. “Perché tu non rispondevi mai”, ribatte prontamente Bertolucci in occasione della presentazione alla Casa del Cinema di Roma. All’appello manca il quinto elemento del gruppo, l’allora capitano della squadra azzurra Nicola Pietrangeli, costretto al forfait dopo un incidente domestico ma in collegamento telefonico. “Ho fatto una risonanza e c’è una piccola frattura, non è detto che debba subire un intervento. Mi dispiace perché volevo litigare con quei quattro, una cosa che mi divertiva molto. Ma dico solo una cosa: il merito sportivo è tutto loro, io ce li ho portati lì. Dopo mi hanno chiesto come si fa a essere un bravo capitano. E’ facilissimo: basta dare bene l’asciugamano”, dice Pietrangeli minimizzando il suo ruolo.

 All’epoca, invece, già decidere di andare in Cile non fu impresa facile. E su questo aspetto tornano anche oggi: “Prima del Cile -ricorda Panatta- ci fu una presa di posizione di intellettuali italiani come Dario Fo e Franca Rame che avevano influenzato l’opinione pubblica per non farci andare. Questo è rimasto anche dopo la vittoria e molti media hanno abbandonato il fatto di celebrare questa vittoria. Ricordo tutti gli articoli. Ed è successo anche dopo anni”. “In tutti i tornei più importanti del mondo una storia come la nostra verrebbe celebrata e ricordata. In Italia non succede nemmeno nel torneo più importante al Foro Italico”, è l’amara riflessione di Barazzutti. Il docufilm rende loro giustizia, almeno in parte, e rinsalda un’amicizia che non ha mai avuto il tempo di maturare. “La cosa più importante è che ci siamo riuniti, ci siamo quasi rimessi insieme. Ci eravamo persi di vista, ognuno col suo mestiere e non ci sono state tante occasioni di commemorare questa vittoria, non lo faceva nessuno”, dice Panatta. “La prima volta che mi ha chiamato Procacci pensavo a uno scherzo telefonico -rivela Barazzutti- Mi è sembrato strano che dopo tanti anni tornasse fuori questa storia. Poi l’idea mi è piaciuta. Nessuno di noi aveva avuto il coraggio di alzare il telefono e dire ‘ci vediamo’. Domenico ci è riuscito”.

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