Il cadavere del giovane ricercatore fu ritrovato in un'area distante qualche metro da una superstrada alle porte de Il Cairo

Uno slalom tra false piste e testimoni corrotti. L’incidente stradale, il traffico di opere d’arte, la rissa finita male, un movente sessuale legato a delle avances che avrebbero infastidito i familiari di una ragazza egiziana, una relazione omosessuale ed infine un movente legato al terrorismo. Furono questi i depistaggi, prospettati agli investigatori dello Sco della Polizia e Stato ed a quelli del Ros dei Carabinieri, che indagarono in Egitto, a fianco delle autorità egiziane, pochi giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Giulio Regeni, in un’area distante qualche metro da una superstrada alle porte de Il Cairo. Per creare maggiore suggestione, anche nella popolazione, le ipotesi investigative falsamente avanzate dalla polizia giudiziaria egiziana, venivano riprese anche dai telegiornali nazionali e dai quotidiani, dove i testimoni, appositamente indottrinati rilasciavano le interviste. Nell’udienza davanti ai giudici ed alla giuria popolare della prima corte d’Assise di Roma, è emerso ancora una volta che uno dei quattro 007 imputati per il sequestro e l’omicidio del giovane ricercatore friulano, era onnipresente durante i sopralluoghi investigativi sulla scena del crimine dove venne ritrovato il cadavere martorizzato del giovane ricercatore. Lo hanno spiegato i due testimoni della procura, a cui sono state mostrate le foto dell’agente segreto, il colonnello Uhsam Helmi.

La circostanza è stata anche confermata dal colonnello Loreto Biscardi del Ros dei carabinieri. “Venivamo da un’esperienza positiva di scambi con la polizia egiziana, eravamo riusciti a interrompere qualche anno prima un traffico di migranti e le aspettative in partenza erano quelle di chiarire la vicenda. All’inizio ci fu una apparente collaborazione, ci consentirono di assistere alle assunzioni di testimonianze ma noi cercavamo riscontri oggettivi. Mano a mano che si andava avanti ci furono prospettate altre ipotesi” che ” non erano però assolutamente riscontrate”. Nell’udienza di oggi è “emersa l’assoluta mancata collaborazione egiziana e l’ostruzionismo con i depistaggi” da parte degli appartenenti alla National Security che dovevano collaborare alle indagini per l’omicidio e la tortura di Giulio Regeni. C’erano molte contestazioni da parte degli egiziani e molto ostruzionismo. Abbiamo capito le informalità con cui sentivano questi testimoni, non venivano fatti verbali”, ha dichiarato l’avvocata della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini. 

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