Alle 10.25 del 2 agosto 1980 alla stazione di bologna scoppia una bomba che provocherà più di 200 feriti e 85 morti, diventando il più grave attacco terroristico in italia dal secondo dopoguerra. L’orario della deflagrazione rimarrà impresso nell’orologio fuori dall’entrata principale, così come una parte dei danni che la stazione ha subito: uno squarcio nel muro, all’altezza del primo binario, ricorda ancora quella giornata in cui si è scavato tra le macerie alla ricerca dei sopravvissuti; in cui l’autobus 4030 della linea 37 ha fatto la spola tra piazza medaglie d’oro e gli ospedali cittadini per trasportare i feriti. La prima ipotesi è che, a innescare l’esplosione, sia stato un mal funzionamento nel reparto caldaie, ma non regge a lungo e si inizia, poco dopo, a vagliare la pista dell’attentato terroristico. La fase d’indagine e quella processuale sono caratterizzate da depistaggi e omissioni: si arriva a una sentenza definitiva solo nel 1995, con la conferma in cassazione dell’ergastolo per gli esecutori materiali della strage: i nar valerio fioravanti, francesca mambro e luigi ciavardini. Mentre per il depistaggio delle indagini vengono condannati gli ufficiali del sismi pietro musumeci e giuseppe belmonte, l’ex capo della p2 licio gelli e il faccendiere, collaboratore del sismi, francesco pazienza. Dalle carte processuali vengono fuori i rapporti tra la loggia massonica p2, apparati deviati dello stato e servizi segreti. Una verità processuale che, grazie all’impegno dell’associazione dei parenti delle vittime del 2 agosto, viene nuovamente esaminata a partire dal 2017, quando prende il via il cosiddetto ‘processo ai mandanti’. Il 6 aprile di quest’anno la corte d’assise, presieduta da francesco caruso, emette la sentenza di primo grado: ergastolo per l’ex nar paolo bellini, accusato di concorso in strage; piergiorgio segatel, ex capitano dei carabinieri, è condannato a 6 anni per depistaggio; domenico catracchia, ex amministratore di condominio in via gradoli a roma, imputato per false informazioni ai pm, è condannato a 4 anni. Il presidente dell’associazione delle vittime, paolo bolognesi, ha commentato la sentenza dicendo che “la giustizia non ha fine”. è infatti grazie al lavoro di digitalizzazione e di raccolta dei documenti, operato dall’associazione, che si è potuta aprire questa nuova fase processuale. 

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