In uno dei luoghi simbolo della Resistenza il ricordo di una tragedia simile alle sofferenze del popolo ucraino

“Da Acerra, idealmente, abbracceremo tutti gli altri luoghi che videro l’eroismo, la sofferenza e, troppo spesso, la morte di quanti si sacrificarono per consegnarci un Paese libero e democratico. Nelle carceri e nei lager, a Cefalonia come a Montelungo”. Sergio Mattarella ha presentato così, davanti alle associazioni Combattentistiche e partigiane – ospitate al Quirinale – la sua visita ad Acerra, luogo scelto per celebrare la Festa della Liberazione dal nazifascismo. Dopo lo stop a causa della pandemia, il capo dello Stato torna nei luoghi simbolo della Resistenza come appunto il piccolo comune campano, segnato, tra il primo e il 3 ottobre del 1943, dalla ferocia dei nazisti. Sono 88 i morti accertati e tanti i dispersi, un massacro firmato dal reggimento “Hermann Göring”. Si tratta di uno dei capitoli più bui della nostra storia, con il centro storico messo a ferro e fuoco, mentre numerosi civili venivano trucidati senza pietà dai tedeschi, che cercavano di risalire verso il Nord.

Mattarella ricorderà quella tragedia che tanto somiglia alle sofferenze del popolo ucraino, con le violenze che la gente comune, compresi i bambini, stanno vivendo a causa dell’attacco ingiustificato della Federazione russa. I tedeschi nel 1943 attaccano i civili dopo il ferimento di un soldato addetto alla requisizione di automezzi. La ferocia dei nazisti percorre le strade di Acerra, con i soldati che sparano contro tutti coloro che tentano di uscire dalle case.

E quelle notti terribili sono solo il compimento di una lunga serie di violenze subite dalla popolazione durante tutto il periodo dell’occupazione, che alla fine reagisce dando vita ad azioni di contrasto contro il nemico attraverso forme di resistenza con i pochi mezzi a disposizione: gli uomini rispondono agli spari con fucili da caccia, le donne organizzano i blocchi delle strade con i carretti e le masserizie, anche la Chiesa scende in piazza a difendere gli acerrani. Il vescovo di allora, monsignor Nicola Capasso, difende la popolazione dai rastrellamenti e viene fatto prigioniero con altri cittadini.

Quanto si è consumato ad Acerra e nei territori circostanti, fin dai giorni precedenti la strage, è la testimonianza della forza di un popolo che difende la propria libertà con ogni mezzo contro l’aggressore. Nel 1999 alla città di Acerra è stata, infatti, assegnata la medaglia d’oro al valor civile, per il grande coraggio e il generoso spirito di solidarietà – così si legge nella motivazione – con la quale si ricostruì dopo l’eccidio.

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